mercoledì 1 agosto 2012

Azar Nafisi: il potere sovversivo della letteratura

http://lastanzadellartista.blogspot.it/p/lo-scaffale-di-silvia-recensioni.html 

  • Azar Nafisi, Leggere Lolita a Teheran, Adelphi, Milano, 2004.
  • Azar Nafisi, Le cose che non ho detto, Adelphi, Milano, 2009.
  • Azar Nafisi, Atteggiamento sospetto: il potere sovversivo dell’Immaginazione, conferenza tenuta dall’autrice a Roma il 26 giugno 2004 e disponibile gratuitamente sul sito della casa editrice Adelphi.


Ciò che cerchiamo nella letteratura”, suggerisce Azar Nafisi all’inizio del libro che l’ha resa famosa in tutto il mondo, non è la realtà, ma un’epifania della verità”. L’espressione racchiude l’essenza del lavoro della studiosa ed è una raccomandazione che lei stessa ripeteva alle studentesse - ragazze di Teheran che “avevano due storie, una reale e una inventata” - che dal 1995 al 1997 si riunirono periodicamente a casa sua in un salotto letterario clandestino. Gli incontri - descritti appunto in Leggere Lolita a Teheran - si susseguirono con coraggiosa determinazione nonostante i divieti del regime e furono tutti dedicati ai sovversivi più ricercati dalla Repubblica Islamica dell’Iran: la verità e la bellezza. Nabokov”, scrive l’autrice, aveva descritto quello che ci sarebbe successo: avremmo scoperto come il banale ciottolo della vita quotidiana, se guardato attraverso l’occhio della letteratura, possa trasformarsi in pietra preziosa”.
Azar Nafisi è la professoressa che in molti avremmo voluto avere. La sua presenza è delicata e familiare ma possiede il fascino di quei pochi maestri capaci di costruire un ponte tra immaginazione e realtà, letteratura e vita. Attraverso le sue parole, le grandi opere letterarie si scuotono di dosso la polvere di decenni di indifferenza per svelare una saggezza intatta e universale. In Leggere Lolita, le creature dei grandi scrittori intrecciano la loro umanità alla realtà iraniana post-rivoluzionaria - un regime teocratico che ha inasprito la sua stretta fino a soffocare non solo ogni forma di dissenso politico, ma anche ogni forma di bellezza - e le loro parole si schiudono come belle di notte all’imbrunire di un’epoca in cui l’arte non può mostrare se stessa alla luce del giorno.
Azar Nafisi toglie dunque un velo, quello imposto con violenza alla bellezza sovversiva della letteratura. E lo fa dapprima con un’opera potente come Leggere Lolita a Teheran, pubblicata nel 2003 (in italiano da Adelphi nel 2004), poi con Le cose che non ho detto, memorie private uscite nel 2008 (del 2009 la versione italiana). Fra i due romanzi compare poi Atteggiamento sospetto: il potere sovversivo dell’immaginazione, conferenza che Azar tenne a Roma il 26 giugno del 2004 e che Adelphi diffonde oggi gratuitamente sul suo sito internet. I tre tasselli necessari a dispiegare il pensiero di una grande intellettuale sono tutti qui.
Leggere Lolita a Teheran e Le cose che non ho detto sono, in qualche modo, due frammenti complementari. Se nel primo l’autrice ci lascia intuire la condizione del suo paese attraverso le vite delle sue studentesse - che togliendosi “il velo e la veste” intorno alle pagine aperte di un romanzo “diventavano di botto a colori” - nel secondo è lei stessa a togliersi il velo per narrare la genesi privata del suo amore per la letteratura: “se mi rivolsi ai libri fu perché erano l’unico rifugio che conoscevo (…) per proteggere una parte di me stessa che sentivo sempre più in pericolo”. Le due parti si completano dunque reciprocamente e lasciano affiorare l’acuta, profondissima descrizione che Azar Nafisi compie “dell’essenza stessa di ogni totalitarismo”. Se nella prima Azar ci presenta quattro meravigliose lezioni di letteratura, nella seconda svela il meccanismo stesso della sovversione, il potere dell’immaginazione letteraria.
Leggere Lolita a Teheran, recita la seconda di copertina dell’edizione italiana, “è uno dei più toccanti atti d’amore per la letteratura mai professati - e insieme una magnifica beffa giocata a chiunque cerchi di interdirla”. E l’editore offre anche una preziosa sintesi del secondo romanzo, che “è soprattutto la rivelazione di come a volte le dittature sembrino riprodurre i silenzi, i ricatti, le doppie verità su cui si regge il primo, e più perfetto, sistema totalitario: la famiglia”. Privato e politico - non a caso un’antitesi cara a Nabokov - sono dunque il fulcro della tensione narrativa delle opere di Azar Nafisi ed anche il nucleo da cui scaturisce la nota più importante del suo contributo intellettuale. Le due coordinate sorreggono la sua analisi interiore, sociologica e politica, e si rispecchiano nei due grandi romanzi.
Ma è Atteggiamento sospetto ad offrire un solido punto di partenza per ripercorrere i temi di questa scrittrice. “Ciò che unisce lo scrittore ai propri lettori”, spiega Azar Nafisi, è il fatto che, oltre a quella che siamo abituati a chiamare «realtà», essi condividono, come dice Nabokov, «la sensazione di trovarsi in qualche modo, da qualche parte, in rapporto con un altro stato dell’essere dove è l’arte (la curiosità, la tenerezza, la gentilezza, l’estasi) a dettar legge»”. Questo mondo parallelo “potremmo chiamarlo la Repubblica dell’Immaginazione” e la chiave per entrarci è la curiosità”. Azar Nafisi parla dunque di un sentiero che tutti possiamo percorrere, un passaggio segreto che ha il potere sovversivo di generare empatia tra gli esseri umani (veri e inventati), una zona franca in cui germogliano i semi provenienti da tutte le terre confinanti. E mostrando che una sovranità inviolabile ci accomuna tutti, l’autrice svela anche che ogni dittatore, ogni censore, ogni Humbert Humbert… è destinato inevitabilmente alla sconfitta.
Il privato di cui parlava Nabokov diventa così il politico del primo romanzo: “come Lolita tentavamo di fuggire e di creare un nostro piccolo spazio di libertà. E come Lolita sfruttavamo ogni occasione per esibire la nostra insubordinazione: lasciando spuntare una ciocca di capelli dal velo, insinuando un po’ di colore nella smorta uniformità delle nostre divise, facendoci crescere le unghie, innamorandoci”. E il politico si fa invece privato nella seconda, più intima opera di Azar Nafisi: “Molto prima di scoprire come un regime dispotico possa imporre una nuova immagine all'individuo e rubargli la sua vera identità, la sua idea di sé, io l'avevo già vissuto all'interno della mia famiglia; e molto prima di scoprire cosa significhi per le vittime diventate complici dei crimini commessi dallo Stato, io avevo già conosciuto, in una sfera molto più personale, la vergogna della complicità. In un certo senso, questo libro è la risposta al censore che è in me”.
Ed ecco che privato e politico non sono così distanti. Scrive Azar Nafisi: “Avevo cominciato a riflettere sulla relazione fra la democrazia e il romanzo partendo dalla riflessione che in Iran il romanzo era nato contemporaneamente alle richieste di libertà e democrazia”. E’ dunque un’idea di libertà a fare da filo rosso tra immaginazione letteraria e realtà, privata o politica che sia?
Azar Nafisi ci mostra dunque l’ossatura stessa di ogni mistificazione e ci insegna come si costruisce - ma anche come si smonta - una dittatura. Il genio di questa autrice è proprio questo: saper svelare - come Nabokov - che la dittatura non è soltanto un regime politico ma una parte del cuore umano. E’ un aspetto di ciascuno di noi, vittime e carnefici. Ed è uno spirito da combattere ogni giorno con l’arma più potente del mondo: l’immaginazione.


Silvia Belcastro, "Leggere Donna" 157/2012, Tufani Editore

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