mercoledì 1 agosto 2012

Hélène Grimaud, Variazioni selvagge




Noi siamo una musica, un recitativo, del destino.
Ognuno di noi ne ha la chiave, e può decifrarla o meno;
comunque sia, non si è felici se non c’è armonia
tra il nostro essere e la nota che lo esprime.[i]


No, nessuna nostalgia dell’infanzia”. Il primo libro di Hélène Grimaud, pianista di fama internazionale, comincia con queste parole. Scritta con grazia ed essenzialità, l’opera spazia tra musica, letteratura e ricerca del sé. Con la stessa precisione con cui le mani plasmano le note fino a forgiare un universo interiore, Hélène Grimaud ci consegna un’immagine di sé fatta di parole. E questo alter ego letterario si presenta al mondo cominciando con un “no”.
L’autrice ricorda l’infanzia e quel nucleo vitale da cui scaturirà la sua musica. E’ una bambina inquieta ed errabonda, esplora i sapori e gli odori della campagna corsa ed ama infliggersi continuamente piccole ferite. Per lei gli adulti collezionano un’incredibile quantità di aggettivi che cominciano per “in”: in-trattabile, in-disciplinata, in-subordinata… Un aneddoto su tutti: la maestra le chiede di disegnare delle galline in un cortile, Hélène abbozza una rete.
Preoccupati dal suo temperamento indocile, mamma e papà cercano nella realtà intorno un’attività adatta a quel carattere assoluto, un territorio dell’anima capace di incanalare quell’“eccesso di energia psichica”. Ed è così che la bambina siede per la prima volta di fronte a un pianoforte. Ha sette anni: “Ricordo, come fosse ieri, l’incanto che provai, presa da quell’idea di infinito che la musica evoca; ricordo la sensazione fisica di un’apertura, di una via dischiusa dinanzi a me; come se una porta scavasse il muro e ne sfuggisse un sentiero luminoso, rivolto a una rivelazione d’armonia. Respiravo più ampiamente, più profondamente[ii].
La musica entra nella sua vita come un’onda, e la porta via con sé. Inizia a studiare ad Aix con Jacqueline Courtin e si perfeziona a Parigi con Pierre Barbizet, che ricorderà per sempre come il suo maestro: “Veniva naturale chiamarlo «maestro». Lo era. Il suo ascendente, stemperato nel tono gioioso della voce e nello scintillio delle pupille, illuminava ogni lavoro. Era di una generosità formidabile, ti trasmetteva quello che sapeva, ti dava tutto[iii]. E infine la grande città: nel 1982, a tredici anni, Hélène entra al Conservatorio di Parigi e si diploma tre anni dopo a pieni voti. Il 1987 è un anno di svolta: debutta come solista al festival di La Roque d’Anthéron, prende il volo.
Ma l’autrice ricorda sempre quel “no” che apre il romanzo e tratteggia con delicatezza i retroscena della sua vita d’artista. Nelle camere d’albergo, prima dei concerti, è una ragazzina che passa ore a sistemare gli oggetti in preda a un desiderio ossessivo di “simmetria”. Rinchiusa in un corpo incantevole, dietro il sorriso attraente e gli occhi blu, precipita in un’anoressia del cuore che lentamente la divora. Finché è chiaro che Parigi, la città che ha nutrito la pianista, non sa placare un’altra fame.
A ventun anni si trasferisce negli Stati Uniti. È un periodo di profonda crisi: viaggia da una stanza all’altra, osserva in solitudine la ferocia delle grandi città e approda infine a Tallahassee, cittadina della Florida senza tante attrattive. Finalmente, sulle strade sterrate percorse al trotto dai cani da caccia, il mondo parigino tace. Tallahassee è un’assenza, ma è costeggiata di natura selvaggia e viene a poco a poco colmata dalla gentilezza delle persone e da una pace che si insinua nell’anima con il passo felpato dei lupi. A Hélène piace corteggiare da lontano quel territorio che pullula di vita non addomesticata. Gli abitanti la mettono in guardia sullo squilibrato locale, un veterano del Vietnam che la guerra ha reso diverso agli occhi della comunità, ma è proprio imboccando nuovamente un sentiero sconsigliato da tutti che Hélène trova se stessa per la seconda volta nella vita. Sono le due del mattino: la sua anima selvaggia, nelle vesti della lupa Alawa, si accuccia fiduciosa ai suoi piedi. Gli Aztechi parlerebbero di nahual mentre i bambini di oggi, attenti lettori de La Bussola d’Oro, non avrebbero alcun dubbio: Hélène incontra il suo daimon. Ed è l’inizio di una nuova armonia.


[i] Hélène Grimaud, Variazioni selvagge, Bollati Boringhieri, Torino, 2007, pag. 46.
[ii] Ibidem, pag. 38.
[iii] Ibidem, pag. 46.


 Silvia Belcastro, "Leggere Donna" 140/2009, Tufani Editore



1 commento:

  1. silviiiiiiiiiiii che brava bellissima idea ti faccio conoscere anche alla ste :D

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