giovedì 2 agosto 2012

Il Professor B. e il Vola-Vola



A tutti i bambini piace fare Vola-Vola. Quando li lanci per aria gridano di una gioia che ride da dentro, un suono così puro che gli adulti non possono che adorare la piccola divinità manifesta. Ma perché proprio Vola-Vola? Cosa accade?

Margherita Aliotta, Vola-Vola
 Ricordo molto bene i miei Vola-Vola. Si trattava di un evento raro, giustamente centellinato per rendere il suo effetto ancora più potente. Quando capitava che il vicino di casa – lo stimatissimo Professor B. – ci incrociasse in cortile nell’atto di tirar fuori l’automobile o la bicicletta dal garage, io mi avvicinavo timidamente facendogli capire che desideravo un Vola-Vola. Poco importava che fosse inverno, che fossero le sette del mattino o che l’illustre Professor B. dovesse recarsi in fretta all’università, dove insegnava. 


E nemmeno aveva importanza – per i miei tre anni – che sua moglie fosse addirittura Preside di Facoltà. Era naturale, per me, associare il Vola-Vola al Professor B. Chi può infatti essere così cinico da pensare che la persona che concede una simile gioia sia intercambiabile? Non mi è mai venuto in mente di chiedere un Vola-Vola a un altro adulto. Aspettavo invece con ansia -  a volte per molti mesi – che si presentasse quel momento perfetto in cui il gioco nasceva da sé.

Quel Vola-Vola mi ha lasciato qualcosa di indelebile, qualcosa di più ancorato e profondo di tante altre esperienze cosiddette formative. Come una chiave incantata, quel Vola-Vola ha aperto lo scrigno remoto che celava una formula magica: posso volare.  

Negli anni ho rivisto diverse volte il Professor B. Si è trattato sempre di incontri radi, fugaci come quei Vola-Vola che elargiva all’improvviso nei mattini d’inverno. Non mi ha mai riconosciuto. Aveva lo sguardo assente. Tornava a casa a piedi: una volta col giornale, una volta con la busta della spesa. Gli occhi erano fissi su un’immagine che non potevo vedere, forse il punto in cui il suo tempo si era fermato. Sapevo bene che aveva perso la moglie, la buffa signora dai capelli color stoppa che per il Mondo degli Adulti era evidentemente una brillante studiosa e un’insigne accademica. Se n’era andata in poco tempo. Un tumore fulminante e distruttivo, uno di quegli uragani che non lasciano più nulla dietro di sé. Sapevo anche che per il Professor B. era stato un “grande colpo”, una di quelle frasi che si sentono e si dicono degli altri senza però mai comprenderne fino in fondo il significato, come se il dolore fosse un’altra lingua, troppo difficile da avvicinare quando non è la nostra. E allo stesso modo sapevo che “non si era ripreso”.

Mi ricordavo bene di questi signori attempati e sempre allegri che parlavano un colorito, raffinatissimo fiorentino. Il loro tono di voce era naturalmente così caldo e squillante che la porta del loro appartamento – proprio di fronte alla nostra – sembrava fatta apposta per diffonderli in tutto il condominio come fossero la Radio del Popolo. La loro presenza, il loro relazionarsi l’uno con l’altro secondo impercettibili, precisissime regole, li rendeva ai miei occhi molto affascinanti. La montatura dei loro occhiali incorniciava sguardi vivaci che rivelavano un Passato. Ci separavano varie generazioni eppure in qualche modo – quando smettevo di giocare rumorosamente per lasciarli passare – per qualche minuto mi interessavano. 

Oggi, quando vedo un bambino lanciato per aria dal suo papà, quando mi volto di scatto attratta da quella inconfondibile risata magica, io penso ancora all’incantesimo del Professor B.

Penso a quel Vola-Vola. 


© Silvia Belcastro

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