A tutti i bambini piace fare Vola-Vola. Quando li lanci per
aria gridano di una gioia che ride da dentro, un suono così puro che gli adulti
non possono che adorare la piccola divinità manifesta. Ma perché proprio
Vola-Vola? Cosa accade?
Margherita Aliotta, Vola-Vola |
Ricordo molto bene i miei Vola-Vola. Si trattava di un
evento raro, giustamente centellinato per rendere il suo effetto ancora più
potente. Quando capitava che il vicino di casa – lo stimatissimo Professor B. –
ci incrociasse in cortile nell’atto di tirar fuori l’automobile o la bicicletta
dal garage, io mi avvicinavo timidamente facendogli capire che desideravo un
Vola-Vola. Poco importava che fosse inverno, che fossero le sette del mattino o
che l’illustre Professor B. dovesse recarsi in fretta all’università, dove
insegnava.
E nemmeno aveva importanza – per i miei tre anni – che sua moglie
fosse addirittura Preside di Facoltà. Era naturale, per me, associare il
Vola-Vola al Professor B. Chi può infatti essere così cinico da pensare che la
persona che concede una simile gioia sia intercambiabile? Non mi è mai venuto
in mente di chiedere un Vola-Vola a un altro adulto. Aspettavo invece con ansia
- a volte per molti mesi – che si
presentasse quel momento perfetto in cui il gioco nasceva da sé.
Quel Vola-Vola mi ha lasciato qualcosa di indelebile,
qualcosa di più ancorato e profondo di tante altre esperienze cosiddette
formative. Come una chiave incantata, quel Vola-Vola ha aperto lo scrigno
remoto che celava una formula magica: posso volare.
Negli anni ho rivisto diverse volte il Professor B. Si è
trattato sempre di incontri radi, fugaci come quei Vola-Vola che elargiva
all’improvviso nei mattini d’inverno. Non mi ha mai riconosciuto. Aveva lo
sguardo assente. Tornava a casa a piedi: una volta col giornale, una volta con
la busta della spesa. Gli occhi erano fissi su un’immagine che non potevo
vedere, forse il punto in cui il suo tempo si era fermato. Sapevo bene che
aveva perso la moglie, la buffa signora dai capelli color stoppa che per il
Mondo degli Adulti era evidentemente una brillante studiosa e un’insigne
accademica. Se n’era andata in poco tempo. Un tumore fulminante e distruttivo,
uno di quegli uragani che non lasciano più nulla dietro di sé. Sapevo anche che
per il Professor B. era stato un “grande colpo”, una di quelle frasi che si
sentono e si dicono degli altri senza però mai comprenderne fino in fondo il
significato, come se il dolore fosse un’altra lingua, troppo difficile da
avvicinare quando non è la nostra. E allo stesso modo sapevo che “non si era
ripreso”.
Mi ricordavo bene di questi signori attempati e sempre
allegri che parlavano un colorito, raffinatissimo fiorentino. Il loro tono di
voce era naturalmente così caldo e squillante che la porta del loro
appartamento – proprio di fronte alla nostra – sembrava fatta apposta per
diffonderli in tutto il condominio come fossero la Radio del Popolo. La loro
presenza, il loro relazionarsi l’uno con l’altro secondo impercettibili,
precisissime regole, li rendeva ai miei occhi molto affascinanti. La montatura
dei loro occhiali incorniciava sguardi vivaci che rivelavano un Passato. Ci
separavano varie generazioni eppure in qualche modo – quando smettevo di
giocare rumorosamente per lasciarli passare – per
qualche minuto mi interessavano.
Oggi, quando vedo un bambino lanciato per aria dal suo papà,
quando mi volto di scatto attratta da quella inconfondibile risata magica, io
penso ancora all’incantesimo del Professor B.
Penso a quel Vola-Vola.
Penso a quel Vola-Vola.
© Silvia Belcastro
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