lunedì 3 settembre 2012

Pennabilli e l'anima di Tonino Guerra



Pennabilli, il regno dell’anima di Tonino Guerra. Non conoscevo né l’uno né l’altro se non per sentito dire, come quei mondi che in certi ambienti è d’obbligo conoscere ma di cui in realtà non sappiamo nulla, se non che esistono. E Pennabilli esiste incastonato fra le colline, non lontano da Santarcangelo e San Marino.

Vi sono luoghi permeati di magia, altri che inspiegabilmente urlano sangue e altri ancora su cui aleggia tetro un velo di mistero. Pennabilli è invece un luogo mistico e sorridente, un paesino su cui Dio ha posato lo sguardo lasciando dietro di sé un vento birichino e un profumo di mandorli.

In cima al borgo c’è un roccione, un cucuzzolo senza pretese a cui si accede tramite pochi scalini di pietra adagiati tra spruzzi d’erba. Sulla sommità uno spiazzo sferzato dal vento, un balcone naturale da cui lo sguardo può perdersi per tutta la Valmarecchia. Nel 1994 il Dalai Lama vi ha posto una campana tibetana che richiama la tolleranza fra religioni. E’ una campana grigia, solenne senza essere pretenziosa, da cui pende un lungo straccio di stoffa. Tirando il panno, la campana suona e una preghiera vola per la Valmarecchia. E accanto ad essa tre mulini tibetani in metallo scolpito attendono di essere accarezzati perché altre preghiere si tuffino nello strapiombo. 

E’ un luogo brullo, senza fronzoli, immobile eppure pregno del mutamento delle stagioni e dell’avvicendarsi dei desideri umani. Ho riconosciuto qualcosa. Un Luogo, un Momento o forse una Presenza... Ho accarezzato i mulini liberando la preghiera scolpita, ma non ho avuto il coraggio di suonare la campana. Non trovavo ragioni sufficienti per scomodare Dio alle due del pomeriggio, rompendo un silenzio in cui – per la prima volta dopo non so quanto tempo – sentivo cantare il vento. Mi sembrava una marachella, uno scherzo da ragazzini.


Camminando per il paese mi sono poi sorpresa a pensare che Tonino Guerra era morto. Che pensiero stupido… ovvio che era morto, avevamo appena visto la sua tomba di roccia nel giardino della Casa dei Mandorli. Eppure era strano, perché non “sembrava” morto. La primavera e l’estate ingannano, tutto è talmente vivo da rendere l’idea della morte surreale... ma non era nemmeno questo. Quello che sentivo aveva a che fare con la natura, con l’anima di quei luoghi, coi mandorli. Io sono un mandorlo, aveva detto. Che avesse ragione? Che strano… non conoscevo che pochi spizzichi della sua poesia eppure la sentivo vivere nell’erba e nel vento di Pennabilli. Era riuscito a rinnovarsi in una terra che il suo passaggio aveva lievemente - eppure radicalmente - mutato. Aveva dato agli alberi una linfa diversa.


Quando sono scesa nella piazza ho sentito il suono sfacciato della campana. Mi sono voltata verso l’alto: qualcuno non si era fatto scrupoli a stuzzicare Dio alle due del pomeriggio! Ma era impossibile non sorridere. Avevi la netta sensazione che Dio ci fosse abituato. Un altro scampanare durante la pennichella, un altro saluto sguaiato da quei poeti sul roccione di Pennabilli...


  Silvia Belcastro




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